La Scrivania Obliqua

Note e osservazioni semiserie dal mondo d'oggi


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Correva l’anno, ma anche il mese ed il giorno…

Una pagina scritta tanto tempo fa, ovvero il 21 Febbraio 2002, per ricordare l’evento avvenuto il giorno precedente, il 20-02-2002. Una pagina rimasta tale e smarrita in fondo ad un cassetto dal quale è riemersa andando ad inscatolare cose per il mio prossimo trasloco. Sono passati tanti anni…infatti allora la scrissi su un palmare e forse pochi ricordano cosa fosse… La riporto di seguito…

Raccolgo sul mio palmare queste note di un giorno tanto speciale mentre, in aereo, sto tornando da Madrid a Milano; penso ai due soli eventi simili che l’uomo ha già vissuto, ovvero al 10/01/1001, alba del Secondo Millennio, o al 11/11/1111, in pieno e buio Medioevo.

Oggi, su di un aereo, torno comodamente verso casa e scrivo su di un palmare; mi vedo, d’un tratto, , come un viandante di allora. Mi immagino, a dorso di mulo o a cavallo, cercando la lunga e faticosa via verso casa, affrontando chissà quali disagi e perigli, magari scrivendo, al tremolante lume di una candela, poche righe su di una logora pergamena, pensando al ritorno verso la longobarda Mediolanum dopo essere stato a visitare, chissà perché (il turismo manco c’era…), l’arabica Magerit (la Madrid di allora).

Immagino il buio di quei tempi, i pericoli di un viaggio che solo al pensarlo, a cavallo o su un carro, sembra un’odissea; oggi è un’ora e mezzo di volo; allora mesi o, forse, mail alcun ritorno.

Oggi la tecnologia mi trasporta a 10.000 metri di quota, volando a 900 km/h, comodamente seduto in Business Class; al mio arrivo tanta gente di fretta ed io fra i tanti, sempre di corsa, sempre lottando contro il tempo.

A quei tempi avrei lottato contro la fame, le pestilenze, le carestie, i predoni, le gabelle…ma contro il tempo no! Chi lo misurava?

Ed allora cosa resta in comune fra il viaggiatore di oggi ed il viandante di allora, entrambi sotto lo stesso cielo, sotto le stesse stelle; corre l’anno ma anche il giorno ed il mese, ma, alfin, restano solo le gabelle…

Con questo finale in rima, ripongo il mio palmare e guardo dal finestrino quello stesso cielo che anche quel viandante diretto a Mediolanum fissava in quelle notti. Magari ignorava cosa fosse un numero palindromo, non sapeva che ora fosse ma sapeva farsi guidare dalle stelle e dal suo naso.


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Una foto da far male…ai polsi

Capitano degli “amarcord” tutti d’un botto. A me è successo oggi guardando una delle tante pagine di motorismo che seguo su FB. Veniva pubblicata una foto risalente al 1971 che ritrae un fotografo tedesco famoso per aver immortalato scatti iconici delle corse automobilistiche di quel periodo.

Il baffuto fotografo tiene in mano un oggetto la cui sola visione mi ha fatto sentire (e qui viene l’effetto “amarcord”) un immediato dolore ai polsi…

Le famigerate palline clic clac!

I ggggiovani d’oggi che si rincoglioniscono di social, di Tik Tok ed altro non hanno nemmeno la più pallida idea del livello di abnegazione masochistica di chi, ragazzino nei primi Anni ’70, venne contagiato da quella moda, sadica e deleteria.

Le palline clic clac…alla fine imparavi e ne diventavi esperto, facendo il tuo figurone; ma con quale viatico?

Ricordo ancora l’estate (penso fosse proprio quella del 1971) nella quale arrivai al punto di doverle utilizzare fasciando prima il polso con un asciugamano, talmente era ormai livido, gonfio, dolorante…

Perché le sadiche palline, prima di consentire il tuo exploit, si andavano a schiantare sistematicamente sul polso, facendo un male pazzesco.

Ma volevi mettere però il rumore che si generava quando riuscivi ad innescare la scarica micidiale di clicclacclicclacclicclac…?

Una piccola soddisfazione che comportava però un duro, durissimo apprendistato: “only the brave”!


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Una guida galattica…per veri appassionati

Niente fantascienza, tantomeno per autostoppisti.

Niente di autoreferenziale, perché sono agli antipodi rispetto a quell’attitudine, da me disprezzata in modo feroce.

Una guida, però, quella si; una guida per appassionati e non, per chi sia curioso di conoscere, o ricordare, un periodo epico del motorismo sportivo.

Galattica, perché universalmente unica quanto a materia trattata, sviluppando un tema unico e particolare.

Di cosa si tratta? Della “Guida galattica alla mia collezione di modellini” che, chissà, potrebbe pure diventare un libro; per ora è allo stato di pura guida illustrativa.

Tutto è nato per gioco, discutendo con un amico, appassionato come me, di quanto “sapere” ci sia nel tenere traccia, nelle nostre collezioni, di un passato che mise insieme ingegno, inventiva, audacia, coraggio, tanto, tanto coraggio, tragedie e successi, curiosità e tenacia; proprio un bel mix!

Da lì, di getto, una serie di pagine per raccontare di un’epoca e di avventure, a cavallo solo di pochissimi anni, capaci, però, di lasciare una traccia fortissima in chi le ha seguite e meritevoli di essere divulgate e ricordate.

Al mio amico quelle pagine sono piaciute così tanto da farle, forse, diventare libro; chissà…

Adesso posso finalmente dirvi che, se volete, potrete fare un viaggio nel tempo con la: “Guida galattica alla mia collezione di modellini“.

Se siete interessati scrivetemi la vostra richiesta nei Commenti; felice di inviarvela in formato digitale. ;)


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“Oplà!”…e ti ritrovi vecchio d’un botto!

“Tempus fugit…”, va bene, lo so, l’ho sempre saputo ma, diciamo pure, girano non poco gli zebedei quando ce ne si accorge. Spesso lo si fa sbattendo contro muri innalzati all’improvviso, dei quali non esisteva traccia alcuna; poi, di colpo, “sdénghete!”

Nel mio caso una specifica, maledetta, sindrome che mi attanaglia e, probabilmente, lo fa anche con qualcuno dei lettori, magari non diversamente giovane.

Tutto si manifesta con un’esclamazione, mai prima pronunciata, repentina, fastidiosa, inconscia… Dire: “Oplà !”

Scendi dalla macchina e…”Oplà!”… Ti accomodi sul divano…”Oplà!”… Sistemi una cosa ingombrante…”Oplà!”

Così, senza volerlo, anzi, incazzandosi come una vipera ogni volta che la esclami; perché sa di vecchio, non di anziano; sa di fenomeno incontrollato, estraneo ad ogni tua volontà, e, come tale, inquietante e inopportuno.

Esclamare “Oplà!”, con tanto di punto esclamativo finale, non è mai accaduto nel mio passato, prossimo o remoto; se lo pronunciavo era voluto, controllato, governato.

Adesso, invece, d’un botto questo tarlo si è insinuato nel mio inconscio, manifestandosi, a raffica, più volte al giorno, dispensandomi arrabbiature per la mancanza di controllo e, di conseguenza, rassegnazione sul fatto di non essere più quello di prima.

Vero, invecchiare capita, è naturale, ma di questo orpello ne farei volentieri a meno.

Qualcuno potrebbe trovarlo simpatico; non io, abituato, by design, al controllo assoluto. Proprio da qui viene la rassegnazione di non riuscire più a farlo in modo efficiente.

Vabbè, tutto è ineluttabile; il tempo scorre…e allora meglio non pensarci più e, Oplà, mandarlo a fan…tastico!


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Prossima curva l’Oceano

Tempus fugit! Sono passati già dieci anni dall’uscita del mio romanzo:“Prossima curva l’Oceano”!

Un titolo volutamente senza virgola, nato da subito, ancora prima di scrivere la prima pagina!

Una storia con due protagonisti, ciascuno attore principale di due epoche diverse, a distanza di circa trent’anni.

Un mix nel quale ho riversato passioni, fantasie e ricordi personali; non certo un’autobiografia anche se in uno dei due protagonisti qualcosa di me c’è…

Un successo letterario? No di certo, anche perché lanciato senza promozione editoriale alcuna (ahimè…), nessun supporto da alcun tipo di canale; tantomeno sponsorizzazioni varie essendo io da sempre stato fuori da qualsivoglia giro di “amici degli amici”…

Però è piaciuto ai pochi, bontà loro, che hanno avuto la pazienza di leggerlo.

Cosa più importante, anzi fondamentale, è stato un lavoro nel quale mi sono divertito, e tanto, nello sviluppare e scrivere una storia, nel collocarla fra le mie passione motoristiche e di lavoro, nel ricercare dettagli per renderla il più possibile veritiera, nell’immaginare i vari personaggi caratterizzandoli in modo particolare.

Nella mia fantasia ogni tanto li rivedo quei personaggi e mi domando cosa mai staranno facendo ora…

Uno di certo sarà ancora nella sua officina mettendo a punto auto o moto dalle prestazioni strepitose… Gli altri, chissà.

Io so soltanto che sono passati dieci anni e rivedendo le immagini raccolte per il libro il ricordo torna anche all’amico, purtroppo scomparso, che mi aveva realizzato il “rendering” della Formula 1 con la quale corse uno dei miei protagonisti.

Mancavano solo i cerchi azzurri, quei cerchi particolari e bizzarri forniti assieme a quella vecchia Brabham BT37…

“Prossima curva l’Oceano”…e non cercate la virgola; non c’è!


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è caduto giù l’Armandov…

“era quasi verso sera, ero dietro, stavo andando e si è aperta la portiera… ho buttato giù, pardon, è caduto giù l’Armando”.

Così recita la canzone “l’Armando” del grande Enzo Jannacci.

Oggi mi è tornata in mente dopo l’ennesimo “suicidio”, con volo da finestra/balcone, di un personaggio russo che ha osato criticare lo Zar Putin.

https://www.corriere.it/esteri/22_dicembre_27/re-salumi-che-critico-putin-muore-cadendo-una-finestra-india-1e179e3c-85df-11ed-8ecf-04471f1e32e0.shtml

L’ennesimo, perché ormai di suicidi volanti, forse meglio dire “a spinta”, si sta quasi perdendo il conto.

Ovviamente la becera retorica del regime dello zar etichetta tutto come suicidio per depressione. Tutti depressi coloro che hanno osato criticare il grande macellaio russo; talmente depressi che, oplà, spiccano grandi voli verso il basso, con modalità molto “spintanee”, e spintanee non è un errore di battitura.

Quindi il riferimento all’Armando, russizzato in Armandov ci sta: “compagni…ho buttato giù, pardon, è caduto giù l’Armandov”.

In realtà nella canzone di Jannacci la vera carogna era proprio l’Armando che vessava il poveretto che poi, alla fine, lo facilita giù dalla macchina.

Purtroppo nella realtà attuale la carogna è una sola: lo zar assieme al suo codazzo di sodali criminali.

La speranza è che, al più presto, diventi lo zar il soggetto che cade, anzi viene spinto, giù.

Ce ne sarebbe tanto, ma tanto bisogno.


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…questo un giorno sarà tuo!

C’era una volta la storiella del ricco possidente che portava il figlioletto sulla cima di una collina e, mostrandogli i terreni antistanti, gli diceva:”guarda figliolo; tutto questo, un giorno, sarà tuo!”

Oggi, invece, nella comunistissima ed affamata Corea del Nord, il dittatore Kim-Jong-un porta la figlioletta a vedere un missilone, letale e pericolosissimo, dicendole, da buon padre dittatore:”vedi figlia, questo missilone un giorno sarà tuo!”. Magari le promette pure che al prossimo Natale coreano, o qualsiasi altro tipo di festa comunista ci sia in quell’assurdo paese, le regalerà pure il telecomando per lanciare il missilone, ovviamente sempre in direzione di quei catti-cattivissimi degli americani…

Ma quanto bello sarebbe se la bambina, nel provare il nuovo Kim-giocattolino, sbagliasse, nordcoreanamente, qualcosa e il missilone invece di puntare diritto ad est se ne andasse su, su, su in verticale.

Un lancio a campanile con il razzo che, terminata la sua salita, tornasse dritto giù, giù, per la stessa verticale, proprio sul capoccione dell’obeso papà. Bum ! e Kim-Jong-un non c’è più!

E’ una favola ma, chissà…i sogni son desideri e magari, prima o poi, Kim-Jong-un potrebbe finalmente saltare…per aria; almeno uno dei tanti appestatori della pace mondiale ce lo saremmo tolti dagli zebedei.

Vero…resterebbe Putin; ma per quello si potrebbe, sempre favoleggiando, sperare in una missione del rinco-Silvio-Berlu, fiondatosi a Mosca per recapitare all’amichetto un ettolitro di lambrusco. Un lungo viaggio dove il lambrusco è stato troppo agitato e quindi…Bum ! spumantone col botto, ma quello giusto, che tanto ci vorrebbe.

Vabbè…per ora godiamoci, si fa per dire, il toccante quadretto di babbo e figlia davanti al missilone.

Che mondo di m… !


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Quando era bello volare…

Quanto era bello volare; si, ma quando? Semplice…quando non esistevano le “low cost” e il volare era un privilegio e non un fenomeno di massa! Ebbene si; è proprio così!

Gli aeroporti erano posti ordinati dove ci si apprestava al volo in modo composto e rigoroso.

L’esperienza del volo la si affrontava con rispetto, anche nel modo di vestirsi e di comportarsi.

Oggi si vedono marmaglie, ondivaghe, di zotici per i quali non esistono regole; ci si presenta in aeroporto in infradito o ciabatte (magari anche con i calzini di spugna) offrendo un caravanserraglio di bruttura e indecenza.

Uno spettacolo immondo ed indecoroso.

Certo…senso del decoro, quanto meno della decenza, rispetto delle regole sono ormai stereotipi del passato…e lo si vede!

Si pretende di portare a bordo tutto ciò che capita con imbarazzanti carovane di bagagli a mano improponibili; chissenefrega se poi quel volo impiegherà più tempo per l’imbarco, con conseguente ritardo.

Sarà che sto invecchiando ma quanto rimpiango il volare di una volta e quanto mi fa ribrezzo vedere torme di cialtroni sbracati e ciabattati salire a bordo di un aereo: fosse per me, li sbarcherei tutti a calci in culo!

Purtroppo non sono il Comandante; peccato!


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Credevo di poter fare il pilota…credevo!

Di anni ne sono passati parecchi e visto che la “carriera” non è proprio decollata (manco fosse mai iniziata…) posso raccontare di come andò il regalo che mi feci per il mio cinquantesimo compleanno: un corso di pilotaggio su delle monoposto di Formula Ford.

Luogo del misfatto fu il circuito di Magione, in Umbria, presso la famosa Scuola Piloti di Henry Morrogh che, forse, dopo la mia esperienza perse parte del suo blasone.

Ero pieno di entusiasmo ed aspettative; non che mi aspettassi chissà cosa ma mi piaceva l’idea di cimentarmi con oggetti veloci e performanti e vedere come me la cavavo. Avevo addirittura sognato, in caso di risultati sufficienti, di “affittarmi” un sedile da “gentleman driver” presso qualche team che faceva gare di Turismo. Pensavo…sognavo…

Poi il duro contatto con la realtà; in primis il fattore età e attitudine al rischio.

Oltre al sottoscritto, cinquantenne, al corso partecipavano due fratelli, ventenni, con delle esperienze rallystiche e tre pischelli (età media quindici anni) provenienti dai kart. I due fratelli, piacentini, erano veloci ma maturi e corretti; i tre pischelli invece erano degli autentici piccoli bastardi senza freni inibitori al rischio.

Quello che i freni li aveva tutti ero invece io. Comunque vediamo un po’ come si svolse il tutto.

Per prima cosa familiarizzare con la monoposto non fu facile anche da fermo; non tanto per salirci; mi ci infilavo benone a dispetto delle leve lunghe. Il problema era tirarsi fuori!

La prima volta stavo aggrappandomi al volante e subito arrivarono le urla di Morrogh; il volante, leggerissimo, poteva rompersi. Bisognava appoggiare le mani sulla carrozzeria esterna e sollevarsi di peso… Hai voglia! Non mi muovevo neanche di un centimetro.

Allora trovai un sistema; aiutarmi, una volta sollevatomi un poco dal sedile, puntando la schiena sul rollbar per salire piano piano. Il sistema funzionava; l’inconveniente fu, al termine dei tre giorni di corso, trovarmi però con la schiena completamente scarnificata. Un dolore…!

Veniamo poi alla guida; come detto prima il fattore chiave era il senso del rischio che, nel mio caso, era non adeguato al resto della truppa. Le cose le facevo bene; guidavo pure molto bene al punto da essere preso a riferimento da parte dell’istruttore come pulizia e perfezione nelle traiettorie in curva. Peccato che, come diceva lui: “la traiettoria è perfetta ma manca la velocità!”.

Insomma si capiva lontano un miglio che non c’ero proprio; passione tanta, entusiasmo pure ma capacità di tenere giù il piede…poca, anzi niente.

Venne poi il terzo giorno, quello nel quale, bene o male (il mio caso…), qualcosa si era imparato e si girava parecchio in pista. Io ero sempre molto attento agli specchietti per non ostacolare chi più veloce di me. Salvo che a un certo punto mi trovo addosso il più assatanato e bastardo dei tre pischelli e me lo becco sul posteriore proprio prima della “curva del muro”. Questa curva di Magione si chiama così proprio perché c’è un muro a ridosso della pista; una curva a destra molto lenta e secca che immette nel rettifilo del circuito. Il bastardello credeva di potermi passare prima della curva ma non avevo intenzione di stamparmi contro il muro per dargli strada; così lo feci passare ad inizio rettifilo e lui mi mandò a fanculo.

Eh no! Eh no, caro mio, rispetto!

Fu così che mi si chiuse la vena e affondai il piede sul gas attaccandomi alla sua monoposto. Avevo deciso di stargli addosso… e così feci per tutto il rettifilo, che termina con una curva lunga a destra, da terza. Standogli attaccato avevo deciso che avrei frenato dove staccava lui; non gli avrei dato un metro.

Solo allora mi accorsi che dove staccava e frenava lui era un bel pezzo più avanti di dove lo facevo io. Risultato fu che la mia staccata, forzata e mal bilanciata, innescò un doppio testacoda; proprio lì dove, sulla destra, c’è un guardrail alto e minaccioso. Il Dio degli Ubriachi aprì un occhio e mi fece compiere la doppia evoluzione senza però sbattere da nessuna parte, in uno stridio e fumo di gomme micidiale.

Quando mi fermai, a fianco del guardrail, tirai un profondo respiro. Inserii la prima e rientrai ai box dove fui accolto dal tripudio dei pochi presenti che avevano apprezzato lo spettacolo offerto col mio numero e dalla furia del solito Morrogh che sosteneva gli avessi spiattellato un treno di gomme.

So solo che scesi dalla monoposto e me ne rimasi in totale silenzio sul muretto dei box con addosso tre tonnellate di adrenalina.

Il mio corso era finito con la assoluta consapevolezza di aver creduto di fare il pilota…di averci creduto ma poi…


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10 anni da “La Scrivania Obliqua” e dal… Dualometro

Non solo sono passati dieci anni dalla mia pubblicazione de “La scrivania obliqua“; ne sono anche passati dieci dalla scoperta del Dualometro, e, vista la attuale orribile congiuntura (pandemia, ciarlatani al potere, guerra scatenata dai maledetti russi, crollo della globalizzazione…) ricordare questa scoperta può, almeno, regalare un momento di rilassatezza e ironia.

Spesso le scoperte accadono per caso e così fu per il Dualometro. Ero una sera a cena, dalle parti di Cremona, anche se in territorio piacentino, e si mangiavano affettati e torta fritta. Buoni!

Mi ritrovai a giocherellare con due tappi di acqua minerale, di colori diversi e…tac…i due si incastrarono formando ciò di cui solo pochissimi studiosi avevano trattato. La bizzarra struttura ricordò qualcosa a me e un carissimo amico, che ci manca da troppo tempo. Presi altri due tappi, sempre di colori diversi, e li unii attraverso un rotolo di carta.

A conferma del tutto allego la foto, immortalata dall’amico, di quanto allora realizzato:

I Dualometri di quella sera…

Eravamo al cospetto del Dualometro, oggetto di cui si erano perse completamente le tracce, limitate, ormai, solo all’immagine di quello che, si narra, fosse la versione primigenia; vedasi, di seguito, la sua rarissima riproduzione.

Il Dualometro, ovvero uno strumento per definire scelte binarie, solitamente inutili, tipo Alto/Basso, Destra/Sinistra, Vado/Non Vado…

Furono gli Ittiti ad inventare il Dualometro; quello qui riprodotto risale, infatti, ad una delle pochissime testimonianze rimaste della civiltà Ittita.

Perché gli Ittiti? Questo popolo viveva un costante conflitto binario già per la sua particolare lingua dove esistevano solo e soltanto due lettere: la “I” e la “T”.

Gli Ittiti erano ittiti; andavano sempre in giro almeno in due perché il singolo, l’ittitA, non era contemplato non conoscendo loro una terza lettera nel loro alfabeto limitato alla “I” e alla “T”.

A seguire andammo anche ad approfondire, sempre io e il mio caro amico, reconditi e arcani percorsi di filologia degli itttiti; ma non voglio stare a darvi troppi ragguagli.

Fu una bella stagione, di scanzonato e leggero cazzeggio quella della storia del Dualometro.

Sono passati dieci anni da allora e la vita ci ha portato tante cose, poche, pochissime, belle e troppe brutte. Ci ha anche portato via quel caro amico che forse, da qualche parte, intercetterà queste righe e si farà una risata con la suprema corbelleria del Dualometro.