La Scrivania Obliqua

Note e osservazioni semiserie dal mondo d'oggi


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è caduto giù l’Armandov…

“era quasi verso sera, ero dietro, stavo andando e si è aperta la portiera… ho buttato giù, pardon, è caduto giù l’Armando”.

Così recita la canzone “l’Armando” del grande Enzo Jannacci.

Oggi mi è tornata in mente dopo l’ennesimo “suicidio”, con volo da finestra/balcone, di un personaggio russo che ha osato criticare lo Zar Putin.

https://www.corriere.it/esteri/22_dicembre_27/re-salumi-che-critico-putin-muore-cadendo-una-finestra-india-1e179e3c-85df-11ed-8ecf-04471f1e32e0.shtml

L’ennesimo, perché ormai di suicidi volanti, forse meglio dire “a spinta”, si sta quasi perdendo il conto.

Ovviamente la becera retorica del regime dello zar etichetta tutto come suicidio per depressione. Tutti depressi coloro che hanno osato criticare il grande macellaio russo; talmente depressi che, oplà, spiccano grandi voli verso il basso, con modalità molto “spintanee”, e spintanee non è un errore di battitura.

Quindi il riferimento all’Armando, russizzato in Armandov ci sta: “compagni…ho buttato giù, pardon, è caduto giù l’Armandov”.

In realtà nella canzone di Jannacci la vera carogna era proprio l’Armando che vessava il poveretto che poi, alla fine, lo facilita giù dalla macchina.

Purtroppo nella realtà attuale la carogna è una sola: lo zar assieme al suo codazzo di sodali criminali.

La speranza è che, al più presto, diventi lo zar il soggetto che cade, anzi viene spinto, giù.

Ce ne sarebbe tanto, ma tanto bisogno.


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…questo un giorno sarà tuo!

C’era una volta la storiella del ricco possidente che portava il figlioletto sulla cima di una collina e, mostrandogli i terreni antistanti, gli diceva:”guarda figliolo; tutto questo, un giorno, sarà tuo!”

Oggi, invece, nella comunistissima ed affamata Corea del Nord, il dittatore Kim-Jong-un porta la figlioletta a vedere un missilone, letale e pericolosissimo, dicendole, da buon padre dittatore:”vedi figlia, questo missilone un giorno sarà tuo!”. Magari le promette pure che al prossimo Natale coreano, o qualsiasi altro tipo di festa comunista ci sia in quell’assurdo paese, le regalerà pure il telecomando per lanciare il missilone, ovviamente sempre in direzione di quei catti-cattivissimi degli americani…

Ma quanto bello sarebbe se la bambina, nel provare il nuovo Kim-giocattolino, sbagliasse, nordcoreanamente, qualcosa e il missilone invece di puntare diritto ad est se ne andasse su, su, su in verticale.

Un lancio a campanile con il razzo che, terminata la sua salita, tornasse dritto giù, giù, per la stessa verticale, proprio sul capoccione dell’obeso papà. Bum ! e Kim-Jong-un non c’è più!

E’ una favola ma, chissà…i sogni son desideri e magari, prima o poi, Kim-Jong-un potrebbe finalmente saltare…per aria; almeno uno dei tanti appestatori della pace mondiale ce lo saremmo tolti dagli zebedei.

Vero…resterebbe Putin; ma per quello si potrebbe, sempre favoleggiando, sperare in una missione del rinco-Silvio-Berlu, fiondatosi a Mosca per recapitare all’amichetto un ettolitro di lambrusco. Un lungo viaggio dove il lambrusco è stato troppo agitato e quindi…Bum ! spumantone col botto, ma quello giusto, che tanto ci vorrebbe.

Vabbè…per ora godiamoci, si fa per dire, il toccante quadretto di babbo e figlia davanti al missilone.

Che mondo di m… !


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Quando era bello volare…

Quanto era bello volare; si, ma quando? Semplice…quando non esistevano le “low cost” e il volare era un privilegio e non un fenomeno di massa! Ebbene si; è proprio così!

Gli aeroporti erano posti ordinati dove ci si apprestava al volo in modo composto e rigoroso.

L’esperienza del volo la si affrontava con rispetto, anche nel modo di vestirsi e di comportarsi.

Oggi si vedono marmaglie, ondivaghe, di zotici per i quali non esistono regole; ci si presenta in aeroporto in infradito o ciabatte (magari anche con i calzini di spugna) offrendo un caravanserraglio di bruttura e indecenza.

Uno spettacolo immondo ed indecoroso.

Certo…senso del decoro, quanto meno della decenza, rispetto delle regole sono ormai stereotipi del passato…e lo si vede!

Si pretende di portare a bordo tutto ciò che capita con imbarazzanti carovane di bagagli a mano improponibili; chissenefrega se poi quel volo impiegherà più tempo per l’imbarco, con conseguente ritardo.

Sarà che sto invecchiando ma quanto rimpiango il volare di una volta e quanto mi fa ribrezzo vedere torme di cialtroni sbracati e ciabattati salire a bordo di un aereo: fosse per me, li sbarcherei tutti a calci in culo!

Purtroppo non sono il Comandante; peccato!


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Credevo di poter fare il pilota…credevo!

Di anni ne sono passati parecchi e visto che la “carriera” non è proprio decollata (manco fosse mai iniziata…) posso raccontare di come andò il regalo che mi feci per il mio cinquantesimo compleanno: un corso di pilotaggio su delle monoposto di Formula Ford.

Luogo del misfatto fu il circuito di Magione, in Umbria, presso la famosa Scuola Piloti di Henry Morrogh che, forse, dopo la mia esperienza perse parte del suo blasone.

Ero pieno di entusiasmo ed aspettative; non che mi aspettassi chissà cosa ma mi piaceva l’idea di cimentarmi con oggetti veloci e performanti e vedere come me la cavavo. Avevo addirittura sognato, in caso di risultati sufficienti, di “affittarmi” un sedile da “gentleman driver” presso qualche team che faceva gare di Turismo. Pensavo…sognavo…

Poi il duro contatto con la realtà; in primis il fattore età e attitudine al rischio.

Oltre al sottoscritto, cinquantenne, al corso partecipavano due fratelli, ventenni, con delle esperienze rallystiche e tre pischelli (età media quindici anni) provenienti dai kart. I due fratelli, piacentini, erano veloci ma maturi e corretti; i tre pischelli invece erano degli autentici piccoli bastardi senza freni inibitori al rischio.

Quello che i freni li aveva tutti ero invece io. Comunque vediamo un po’ come si svolse il tutto.

Per prima cosa familiarizzare con la monoposto non fu facile anche da fermo; non tanto per salirci; mi ci infilavo benone a dispetto delle leve lunghe. Il problema era tirarsi fuori!

La prima volta stavo aggrappandomi al volante e subito arrivarono le urla di Morrogh; il volante, leggerissimo, poteva rompersi. Bisognava appoggiare le mani sulla carrozzeria esterna e sollevarsi di peso… Hai voglia! Non mi muovevo neanche di un centimetro.

Allora trovai un sistema; aiutarmi, una volta sollevatomi un poco dal sedile, puntando la schiena sul rollbar per salire piano piano. Il sistema funzionava; l’inconveniente fu, al termine dei tre giorni di corso, trovarmi però con la schiena completamente scarnificata. Un dolore…!

Veniamo poi alla guida; come detto prima il fattore chiave era il senso del rischio che, nel mio caso, era non adeguato al resto della truppa. Le cose le facevo bene; guidavo pure molto bene al punto da essere preso a riferimento da parte dell’istruttore come pulizia e perfezione nelle traiettorie in curva. Peccato che, come diceva lui: “la traiettoria è perfetta ma manca la velocità!”.

Insomma si capiva lontano un miglio che non c’ero proprio; passione tanta, entusiasmo pure ma capacità di tenere giù il piede…poca, anzi niente.

Venne poi il terzo giorno, quello nel quale, bene o male (il mio caso…), qualcosa si era imparato e si girava parecchio in pista. Io ero sempre molto attento agli specchietti per non ostacolare chi più veloce di me. Salvo che a un certo punto mi trovo addosso il più assatanato e bastardo dei tre pischelli e me lo becco sul posteriore proprio prima della “curva del muro”. Questa curva di Magione si chiama così proprio perché c’è un muro a ridosso della pista; una curva a destra molto lenta e secca che immette nel rettifilo del circuito. Il bastardello credeva di potermi passare prima della curva ma non avevo intenzione di stamparmi contro il muro per dargli strada; così lo feci passare ad inizio rettifilo e lui mi mandò a fanculo.

Eh no! Eh no, caro mio, rispetto!

Fu così che mi si chiuse la vena e affondai il piede sul gas attaccandomi alla sua monoposto. Avevo deciso di stargli addosso… e così feci per tutto il rettifilo, che termina con una curva lunga a destra, da terza. Standogli attaccato avevo deciso che avrei frenato dove staccava lui; non gli avrei dato un metro.

Solo allora mi accorsi che dove staccava e frenava lui era un bel pezzo più avanti di dove lo facevo io. Risultato fu che la mia staccata, forzata e mal bilanciata, innescò un doppio testacoda; proprio lì dove, sulla destra, c’è un guardrail alto e minaccioso. Il Dio degli Ubriachi aprì un occhio e mi fece compiere la doppia evoluzione senza però sbattere da nessuna parte, in uno stridio e fumo di gomme micidiale.

Quando mi fermai, a fianco del guardrail, tirai un profondo respiro. Inserii la prima e rientrai ai box dove fui accolto dal tripudio dei pochi presenti che avevano apprezzato lo spettacolo offerto col mio numero e dalla furia del solito Morrogh che sosteneva gli avessi spiattellato un treno di gomme.

So solo che scesi dalla monoposto e me ne rimasi in totale silenzio sul muretto dei box con addosso tre tonnellate di adrenalina.

Il mio corso era finito con la assoluta consapevolezza di aver creduto di fare il pilota…di averci creduto ma poi…


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10 anni da “La Scrivania Obliqua” e dal… Dualometro

Non solo sono passati dieci anni dalla mia pubblicazione de “La scrivania obliqua“; ne sono anche passati dieci dalla scoperta del Dualometro, e, vista la attuale orribile congiuntura (pandemia, ciarlatani al potere, guerra scatenata dai maledetti russi, crollo della globalizzazione…) ricordare questa scoperta può, almeno, regalare un momento di rilassatezza e ironia.

Spesso le scoperte accadono per caso e così fu per il Dualometro. Ero una sera a cena, dalle parti di Cremona, anche se in territorio piacentino, e si mangiavano affettati e torta fritta. Buoni!

Mi ritrovai a giocherellare con due tappi di acqua minerale, di colori diversi e…tac…i due si incastrarono formando ciò di cui solo pochissimi studiosi avevano trattato. La bizzarra struttura ricordò qualcosa a me e un carissimo amico, che ci manca da troppo tempo. Presi altri due tappi, sempre di colori diversi, e li unii attraverso un rotolo di carta.

A conferma del tutto allego la foto, immortalata dall’amico, di quanto allora realizzato:

I Dualometri di quella sera…

Eravamo al cospetto del Dualometro, oggetto di cui si erano perse completamente le tracce, limitate, ormai, solo all’immagine di quello che, si narra, fosse la versione primigenia; vedasi, di seguito, la sua rarissima riproduzione.

Il Dualometro, ovvero uno strumento per definire scelte binarie, solitamente inutili, tipo Alto/Basso, Destra/Sinistra, Vado/Non Vado…

Furono gli Ittiti ad inventare il Dualometro; quello qui riprodotto risale, infatti, ad una delle pochissime testimonianze rimaste della civiltà Ittita.

Perché gli Ittiti? Questo popolo viveva un costante conflitto binario già per la sua particolare lingua dove esistevano solo e soltanto due lettere: la “I” e la “T”.

Gli Ittiti erano ittiti; andavano sempre in giro almeno in due perché il singolo, l’ittitA, non era contemplato non conoscendo loro una terza lettera nel loro alfabeto limitato alla “I” e alla “T”.

A seguire andammo anche ad approfondire, sempre io e il mio caro amico, reconditi e arcani percorsi di filologia degli itttiti; ma non voglio stare a darvi troppi ragguagli.

Fu una bella stagione, di scanzonato e leggero cazzeggio quella della storia del Dualometro.

Sono passati dieci anni da allora e la vita ci ha portato tante cose, poche, pochissime, belle e troppe brutte. Ci ha anche portato via quel caro amico che forse, da qualche parte, intercetterà queste righe e si farà una risata con la suprema corbelleria del Dualometro.


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10 anni di “La scrivania obliqua”

Sono passati dieci anni, giorno più o meno, dalla presentazione del mio primo libro, il pamphlet “La scrivania obliqua“.

Non ho intenzione di farne una celebrazione; non si è certo trattato di un successo editoriale (anche se in realtà ne è stata fatta pure una ristampa…) ma di un esercizio interessante e non fine a se stesso. Prova ne siano queste pagine che sono diventate naturale continuazione del libro.

Purtroppo questi dieci anni cadono in un momento veramente brutto; una guerra alle porte dell’Europa dove l’Orso Russo dimostra, ancora una volta, la sua innata pericolosità. Non bastasse, una pandemia ancora in corso che ci ha cambiato, in peggio, la vita e le abitudini. Infine, uno scenario nazionale dove si continuano a vedere ciarlatani, utili alla società come le zecche, blaterare a vuoto e mantenere, peraltro, ancora consensi. Cresce ancora di più la consapevolezza di vivere in un paese con una troppo alta percentuale di allocchi… e allocchi suona a complimento!

Torniamo al libro e ai suoi dieci anni; fu una esperienza nuova, inconsueta per chi mi aveva conosciuto come manager tetragono, poco incline a esperienze letterarie. Cogliere, invece, a un certo punto della propria vita, il piacere di scrivere fu una scoperta anche per me. Forse i segnali c’erano, viste tutte le annotazioni che mi dilettavo a raccogliere sui miei taccuini; effettivamente quel libro fu il riprendere tante note pregresse e assemblarle in modo omogeneo.

Sulla scia di questa nuova, inaspettata, passione, l’anno dopo, ci fu la pubblicazione del romanzo “Prossima curva l’Oceano“; un esercizio diverso, partito da zero, facendo crescere una storia e i suoi protagonisti, mettendoci dentro le mie passioni e le mie esperienze. Fu divertente e, mi auguro, sia piaciuto.

Poi, sulla spinta di un carissimo amico che mi manca tantissimo, vennero queste pagine; alcune più riuscite di altre, magari non sempre condivisibili ma certamente sincere.

Perché passa il tempo ma io non cambio e, come disse colui che mi fece da mentore in campo internazionale, sono e resto totalmente “crystal clear“!

Un saluto e un abbraccio ai miei “quattro”, affezionati, lettori ! 😉


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“Andrà tutto bene”… ‘sticazzi !

I media non ce lo ricordano, coerenti con il loro clichet di mettere nel dimenticatoio la demagogica retorica dell’aria fritta di cui sono campioni. Come non ricordare, invece, i balconi italiani di quasi due anni fa, quando cominciò l’incubo del regalo cinese (ohps… chissà come si offenderanno i grullo-trinariciuti che ancora considerano la Cina un partner strategico…), quello chi i “geni” dell’OMS impiegarono mesi e mesi a definire pandemia?

Era il momento della retorica, in puro stile catto-sinistrorso, dell'”andrà tutto bene”…

Complimenti! Si è visto e ancora lo vediamo!

Ora siamo alla terza dose di vaccino, ma la quarta verrà da se, seguendo il proverbio; poi ce ne sarà una quinta e avanti…

Forse per la settima l’OMS dirà che deve essere fatta prima della sesta… Ormai possiamo aspettarci di tutto.

Ed intanto ci si dibatte quotidianamente in una vita costretta, limitata, dove tutto diventa ostico, rischioso: diciamo pure una merda!

Andrà tutto bene”… ‘sticazzi! E’ l’unica affermazione sensata!

Buon Anno? ‘Sticazzi!

Sperare? mah…ci può anche stare ma vige il detto che “chi vive sperando muore ca…ntando”…e non era propriamente “cantando”!

Quindi? Altro non resta che tenere botta, tenere duro; e per gli Auguri brindare solo a… ‘sticazzi!


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Il fascino discreto e sottile della…Cartoleria

Chissà se anche qualcuno fra voi condivide questa mia passione: l’entrare in Cartoleria, godendone appieno quel fascino, a mio giudizio, unico proprio solo di quel negozio.

Cartoleria 0

Saranno forse reminiscenze giovanili di quando, allievo delle Elementari, ci andavo, in bicicletta, per fare scorta di nuovi pennini, ponendo attenzione particolare a quelli più preziosi: quelli “da dettato“.

Cartoleria pennini

Certo, chiunque non abbia mai conosciuto l’arte dello scrivere con penna e calamaio non potrebbe mai apprezzare.

Forse solo chi, come il sottoscritto, ha invece fatto tutte le Elementari senza mai impugnare una penna a sfera, ma solo e soltanto la fida cannuccia con pennino da intingere nel calamaio, può comprendere quale particolare atmosfera si coglie entrando in una Cartoleria.

Quelle più antiche ( e qualcuna ancora se ne trova) avevano scaffali incredibili, pieni di cassetti e cassettini, da cui poteva spuntare di tutto; oggi troviamo, invece, un attraente tripudio di colori fra penne e matite di ogni tipo, evidenziatori, pennarelli, pastelli…

Si, i pastelli…con quelle combinazioni fantastiche di sfumature. Ma volete mettere una confezione di Faber-Castell da 36 pastelli ? Una goduria solo ad aprirla !

Cartoleria 3

Sempre in tema di colore non dimentichiamo i cartoncini, quelli colorati, magari disposti secondo sequenze di pantoni: in tal caso si sfiorano situazioni da libidine assoluta.

Ma quale megastore ultra tecnologico potrebbe mai regalarci queste sensazioni???

Evviva sempre la Cartoleria !!!


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Traumi da Scuola Elementare

Chissà come mi è venuto questo pensiero…tornare ai miei ricordi di Scuola Elementare (che vuol dire ere geologiche orsono…) facendo riaffiorare qualcosa che mi turbò così tanto da averne, ancora oggi, vivo il ricordo.

Tranquilli…nulla di drammatico o inquietante; in ogni caso frammenti di vissuto che hanno lasciato una traccia indelebile.

Il primo è decisamente legato all’attuale periodo di sofferenza causato da un intervento pesante (protesi all’anca) assolutamente non previsto e affrontato con spirito da incoscienza garibaldina, quasi fosse una banalità.

Col ca… fischio !!! Intervento pesantissimo, post pure e poi il bel regalo, grazie alle manovre di prima mobilizzazione a cui mi hanno sottoposto in clinica, di una dolorosissima ernia inguinale che ora, tanto per non farmi mancare nulla e mandare definitivamente a fan…tastico quest’estate, dovrò far operare.

Bando ai miei patimenti, torniamo al trauma inculcatomi dalla mia scuola elementare: il ricordo dello shock causatomi allora dalla lettura della tremendissima pagina de “Le mie prigioni” di Silvio Pellico su “la rosa di Maroncelli“.

Non sto neanche a raccontarne il contenuto talmente è forte la pelle d’oca e la repulsione che mi suscita. Pagine di una tragicità indicibile che dovrebbero essere bandite, meglio censurate, alla lettura da parte di ragazzini nemmeno adolescenti.
Ma io ero di quella scuola elementare Anni ’60, dove ti insegnavano a tenere la schiena dritta, le mani “in prima” e “in seconda” e farti già un mazzo tanto; e in tutto questo ci misero pure “la rosa di Maroncelli”…troppo per me.

Veniamo al secondo ricordo terrorizzante: questo è riaffiorato dopo aver seguito in TV un documentario su Federico II di Svevia, alias “stupor mundi”.

Non c’entra nulla Federico II ma, bensì, il di lui nipote: il povero, sciagurato, sfigatissimo Corradino di Svevia che, spinto/manipolato/osannato a seguire le orme del nonno, venne invece decapitato ancora adolescente. E dov’era questa pagina assurda e grandguignolesca ? Ma ovviamente sul mio Sussidiario delle Elementari. La sua lettura e tutto il ricamo di fantasia elaborato al tempo ha sancito il mio secondo grande trauma didattico-infantile.

Terzo e ultimo; decisamente più bizzarro, anzi assurdo. Di certo non terrorizzante come i precedenti; diciamo irritante.
Mi riferisco a un breve racconto, sempre sul Sussidiario, di ipotetica vita contadina. Un contadino rientra a casa, stanco per il lungo lavoro nei campi, e chiede alla moglie, per cena:”moglie mia, fammi due ceci“. La consorte, di certo donna dalle logiche ferree e scarso adattamento, prende due ceci, due, e li mette a bollire in un pentolone da almeno dieci litri di brodo. Il tutto era raffigurato bene sul libro proprio da un’immagine che riproduceva il quadretto: un grande paiolo sul focolare e i due ceci, due, messi a bollire.

Certo lo scopo era smuovere riflessioni sui modi di dire, sulle diverse accezioni di quanto si dice. A me però è rimasto il tarlo sul come possa essere andata a finire. Al diavolo le diverse sfumature delle frasi; chissenefrega! Il dilemma è cosa successe quando il marito si trovò di fronte una scodella di brodo con due ceci, due? Di più… due ceci o piuttosto furono servite parti uguali con un cece a testa? Scattò l’uxoricidio, una richiesta di divorzio?

Chissà…resta, ancora adesso, dopo quasi sessant’anni, il mistero più fitto!

That’s all, Folks !


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Il primo giorno di lavoro…40 anni fa…

La data: Lunedì 11 Maggio 1981.

Il luogo: Milano, via Pola 9/11.

L’azienda: Sperry Univac

Non varcai effettivamente un vero e proprio cancello aziendale ma quel giorno di quarant’anni fa fu il mio primo giorno di lavoro, al netto dei quasi due mesi di lavoro svolti, subito dopo la Laurea, in Facoltà di Ingegneria, a Pavia, prima del Servizio Militare.

Quel giorno fu importantissimo e segnò, per tanti versi, la mia futura carriera lavorativa, come in una sorta di effetto “sliding doors“.

In primis fu fondamentale la scelta dell’azienda, perché ebbi la possibilità di scegliere fra due diverse proposte di assunzione: la prima, da parte di IBM e poi quella della Sperry Univac.

IBM era IBM…indiscutibilmente ma, quando mi recai per ritirare la lettera di assunzione, scattò un clic nella mia testa: un clic basato sull’osservazione delle persone incontrate e sulla sensazione, forte, di aver trovato nell’ambiente Sperry Univac un’empatia totalmente assente nelle stanze e fra i rigidi schemi IBM.

Un esempio di quella percezione soggettiva di empatia lo ebbi già nei colloqui di selezione; ricordo che dietro la scrivania del responsabile della selezione era collocato il poster di Eddy Cheever al volante della Osella Formula 1, macchina di belle speranze ma non molto competitiva. Era un segno inequivocabile; avevo di fronte un appassionato genuino e competente. D’altronde io avevo sempre tifato per Merzario che raramente poteva qualificare la sua macchina tanto scarsa…

Undici Maggio Cheever

L’empatia fu quindi il fattore chiave per quel primo, importantissimo clic, che, facendomi optare per Sperry Univac (ricordo ancora le pessime reazioni ricevute da IBM quando comunicai loro il mio “no, grazie!”…), mi diede modo di incontrare persone fantastiche, non solo dal punto di vista professionale, ma anche da quello umano.

Undici Maggio Sperry-Univac

Alcuni di loro diventarono punti di riferimento chiave nel mio percorso lavorativo, nonché amici grandi e sinceri.

Il secondo clic, questa volta indipendente dalla mia volontà, fu quello di trovarmi collocato nell’area dei prodotti software applicativi per la gestione aziendale (Il sistema UNIS, operante sul System 80); fenomeno questo decisamente agli albori in quegli anni ma che poi diventerà il fil-rouge di tutta la mia carriera fino al punto, tanti anni dopo, di essere tra i top executives dell’azienda leader di tale settore.

Undici Maggio Bob Marley

Due clic importanti, scattati quel fatidico 11 Maggio 1981; i più ricordano quella data per la morte di Bob Marley; per me significa decisamente molto altro.

Di quel giorno ricordo tutto, o quasi tutto: dalle tante persone incontrate o che mi furono presentate, alla marea di informazioni ricevute, dalle tanti mani strette quel giorno (e che Dio voglia si possa, al più presto, tornare a potersi stringere la mano…) alle varie battute sui giovani ingegneri neolaureati. Su questo io ne rappresentavo uno stereotipo eccellente avendo, ai tempi, una forma mentis più che “quadrata”…”cubica”.
Diciamo che ero decisamente grezzo e il lavorare con i nuovi colleghi, in particolare col mio indiscusso maestro Vico (che, bontà sua, mi definì da subito, e a ragione, come “un incredibile cagacazzi“…), mi portò ad affinarmi sempre di più.

Ma la cosa, in particolare, indimenticabile di quel giorno fu la quantità di caffè bevuti; peccato che io, fino ad allora, non amavo bere caffè, anzi non li bevevo affatto!

Undici Maggio caffe

Risultato fu che ad ogni incontro c’era sempre qualcuno che proponeva “andiamo a prenderci un caffè”; come potevo io, nuovo arrivato, declinare? Ovvio accettare di buon grado e vai con la spola caffè fra Bar Nilo e Caffè del Commenda…

Il conto finale della giornata fu di almeno una decina di caffè e la risultante finale, la sera, furono nausea e mal di testa non da stress o troppa emozione; solo da troppi caffè.

Giusto…un terzo importante clic: da quel giorno cominciai a bere caffè, ma, a partire dal giorno seguente, con molta moderazione… 😉

Sono passati quarant’anni ma il ricordo sembra quasi di…ieri l’altro…

Un abbraccio grandissimo a tutte le persone incontrate quel giorno e un ricordo vivo e speciale a chi, fra loro, oggi non è più tra noi.